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Addio Kobe   di Marcello Ciozzani   |   Pubblicato il 28/01/2020

La morte di Kobe Bryant ha letteralmente squarciato come un fulmine la serata invernale italiana o, se preferite, il mattino nebbioso losangelino. Arrivata del tutto inattesa ed imprevedibile ha gettato nello sgomento i fan del basket di ogni latitudine.

In queste ore ho provato serenamente a razionalizzare questa notizia, ma non ci sono proprio riuscito perchè ci mette di fronte ad un evento complesso, tristemente noto, e nuovo allo stesso tempo. Da un lato c'è la morte con la quale non si riesce mai a scendere a patti e dall'altro c'è la morte che tocca chi, per forza di cose, è più grande del nome che porta.

Ecco, per la prima volta nella sua esistenza, la NBA e tutto il variegato mondo che sta attorno deve fare i patti con la morte di una delle sue stelle più luminose. Mai prima d'ora si era arrivati a questo.

Per intenderci, Wilt Chamberlain è morto giovane e troppo presto, ma a distanza di diversi anni dal suo ritiro. Drazen Petrovic è morto troppo presto, ma la NBA ed il mondo cestistico globale (non il vecchio continente, per carità) stavano incominciando solo in quel momento a tessere le lodi del Mozart della palla a spicchi.

Qui è tutta un'altra storia. Kobe Bryant è ancora "a portata di mano". Si è ritirato ieri, siede a bordo campo delle partite NBA, twitta con le stelle di prima importanza della lega, passa il testimone a Lebron, guida la via per i giovani dal luminoso futuro cestistico.

Kobe è qua, sembra quasi che se lo stuzzichi, da buon Mamba, ti punisca. Si riallaccia le scarpe, scende in campo e ti castiga di nuovo. E santo cielo, quanti ne ha castigati.

Fosse tutto qui saremmo comunque disperati, ma non è affatto tutto qui. Kobe, dobbiamo dircelo, fa parte di quella stirpe di maschi alfa che ha stravolto l'NBA e che l'ha elevata a lega che piace a tutto il mondo. Inconsapevolmente parliamo di una linea dinastica, non definita, ma presente. Ci sono Bird, Magic, MJ, Kobe e Lebron.

Pensate, è tutto così pazzesco che Magic si è salvato, conduce una vita in salute e ci ha fatto credere che quella dinastia fosse intoccabile, fatata, indissolubile. Poi arriva il fulmine di cui sopra e anche quella dinastia scricchiola.

Kobe, dicevamo, è quel'atleta alfa che non è un atleta, è di più. Kobe legge il basket a 360 gradi.
Come lui i suoi colleghi citati sopra. Capisce le giocate con 30 secondi di anticipo. Conosce il playbook della sua squadra e di quella avversaria.

Uno distratto dirà: eh, ma è un genio!

Sì, ma quel che è peggio è che è un genio e sul pavimento non lascia veramente niente. Lavora al suo gioco maniacalmente giorno dopo giorno e ti mette nelle condizioni di capire che se vuoi metterti al dito 5 anelli, quella è la strada. Non uno dei sopracitati ha interrotto questa legge non scritta, non uno. Se vuoi vincere e vincere ancora dovrai lavorare ogni giorno con la meticolosità del più raffinato artigiano di questo mondo.

Kobe era diventato così maestro di quel mestiere da artigiano che persino a parlare di basket era diventato di una bravura che trascendeva il normale. Scrive una lettera di commiato al basket e non è un semplice ciao, ma è un piccolo documentario, è una testimonianza, una confessione e poi un Oscar. A proposito di essere più grandi del nome che si porta.

In ultimo, ma non ultimo, Kobe Bryant è uno stile di leadership. Questo è forse il punto più controverso, ma ci dobbiamo scendere a patti. Non ti spiega come si fa e non si ferma a mostrarti la strada. La percorre. Se lo osservi e cerchi di stare al suo passo, allora ottieni il suo rispetto, se non lo fai non ha tempo per te.

Ad occhio, per 10 che avrà elevato al rango di star sono 100 che ha ammazzato senza pietà (il Mamba, non a caso) e ne ha fatto carta igienica della loro "carriera" professionale. Severo, antipatico, insensibile se volete. Ecco, il concetto latino di "primus inter pares" gli è un concetto alieno, ma gli è ben chiaro che è ciò che seduce di lui.

Per tutte queste cose sfidarlo era una scarica di adrenalina. Significa confrontarsi con il migliore, il più sfrontato, il più pericoloso, il più aggressivo, il test definitivo, colui che può darti la botta di vita più sensazionale in caso di vittoria.

Per noi tifosi Celtics era il miglior arcirivale che si potesse avere. Forte e degno del nostro glorioso passato, sbruffone, ma rispettoso dei colori avversari, spietato ma sfidabile grazie al nostro capitano con la maglia numero 34.

Vorrei trovare parole migliori, ma ha già vinto la voce radiofonica dei Celtics, Sean Grande, dicendo quanto segue: "I tifosi dei Celtics non pensavano che Kobe Bryant gli avrebbe spezzato il cuore un'altra volta, eppure è successo".

Addio Kobe.

Addio Kobe   di Marcello Ciozzani   |   Pubblicato il 28/01/2020
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