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John Havlicek 
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Messaggio John Havlicek
Non sono riuscito a trovare il topic dedicato, quindi mi permetto di aprirne uno.

Purtroppo è arrivata la triste notizia della morte di Hondo. :cry:


26/04/2019, 4:15
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Messaggio Re: John Havlicek
Già... RIP :heart


26/04/2019, 6:58
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Messaggio Re: John Havlicek
Rip :bowdown:

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Authentic Maidens


26/04/2019, 9:28
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Messaggio Re: John Havlicek
Una di quelle notizie che non vorremmo mai leggere.
Ci lascia l'uomo, il Campione e le sue gesta, rimarranno per sempre.

Pare che al suo ingresso in paradiso, una voce microfonata abbia urlato una cosa tipo.......


from Ohio state, number seventeen, Jooooooooooohn Havliceeeeek

:clap2 :clap2 :clap2 :clap2 :clap2 :clap2 :clap2 :clap2 :clap2 :clap2 :clap2

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"Basketball is one of those rare opportunities where you can make a difference, not only for yourself, but for other people as well".

BILL WALTON


26/04/2019, 9:53
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Messaggio Re: John Havlicek
RIP :heart
:bowdown:


26/04/2019, 9:53
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Messaggio Re: John Havlicek
:cry:

https://youtu.be/wKn0Y-BxZcw

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26/04/2019, 11:03
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Messaggio Re: John Havlicek
Un altro pezzo della nostra storia ci lascia ed anche se sappiamo che può succedere, non siamo mai preparati a questi tristi eventi. Se ne va uno dei più grandi interpreti della storia di questo gioco, capace nei sui 16 anni nella lega, di vincere 8 titoli, ben 4 nelle sue prime 4 stagioni.

Anche se le sue apparizioni in pubblico erano sempre più rare, visto il disturbo che lo affliggeva da anni, in svariate occasioni non ha voluto far mancare il suo apporto apparendo al Garden in svariate occasioni. Grande cordoglio per tutto il popolo biancoverde, ed i suoi compagni di mille avventure lo hanno voluto omaggiare con un pensiero o un ricordo. Bill Russell ad esempio ci ha tenuto a sottolineare come fosse molto di più di un compagno di squadra o di un amico, come fosse diventato uno di famiglia. Altri come Paul Silas ne ha voluto ricordare il lato umano, come fosse capace di essere un leader gentile, mai sopra le righe e trascinatore di tutti per impegno e dedizione.

Sappiamo che era un grande attaccante, capace di segnare 26.395 punti in carriera, nessuno come lui con la nostra maglia ha fatto meglio, ma non dimentichiamo che è stato inserito per 8 volte nel miglior quintetto difensivo, ed 11 in quello di miglior quintetto della stagione. Selezionato 13 volte per l'All Star Game, oltre ad aver vinto il premio di MVP delle finale 1974, anche al college vince il titolo con Ohio State (1960) prima di essere nel 1962 con la settima chiamata dai Celtics.

Sono tante le imprese del nostro 17 sarebbe impossibile anche solo elencarle, tra tutte questa mi mette ancora i brividi.

Hondo è stato un esempio sul campo e fuori, un modello per tutti quelli che credono che la nostra maglia trascenda la sola appartenenza sportiva, ma rappresenti una vera fede.

Riposta in pace grande Hondo, ti siamo immensamente grati per tutto quello che hai fatto per questo meraviglioso sport, sarai un Celtic per sempre e noi ti ameremo per sempre. :heart


26/04/2019, 11:30
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Messaggio Re: John Havlicek
Rip.. :cry:

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1957, 1959, 1960, 1961, 1962, 1963, 1964, 1965, 1966, 1968, 1969, 1974, 1976, 1981, 1984, 1986, 2008, 2024


26/04/2019, 13:46
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Messaggio Re: John Havlicek
Un doveroso copia incolla dai cugini amici di i am a celtic.



I am a Celtic - Boston Celtics Italia

Pubblichiamo la biografia di John Havlicek che Angelo Merendi scrisse sul sito di IAAC. Onoriamo così la memoria di uno dei più grandi Celtics di sempre.

#17 John Havlicek

Stati Uniti 1953, esterno, sera: gli ultimi impomatati ritardatari a bordo delle Chevrolet Convertibili o delle Ford Sunliner prendono posto all'interno del Drive In: oggi è in programmazione un western...

E' in questo contesto ormai lontano nel tempo che Marion Robert Morrison, in arte John Wayne, regala il suo inequivocabile "physique du role" al film "Hondo", per la regia di John Farrow: protagonista del lungometraggio è Hondo Lane, corriere della cavalleria americana, che conosce la classica bella pioniera con figlio a carico. Questa, dopo essere stata abbandonata dal marito, vive in territorio Apache; difendendosi da un'aggressione il protagonista è costretto ad eliminare quello che scoprirà essere proprio il gentile consorte della donna. Catturato dal capo dei pellirosse riesce a riacquistare la libertà spacciandosi per l'uomo che aveva ucciso. L'happy end è d'obbligo.

Un film solido ma non certo indimenticabile, il cui merito più evidente è quello di dare lo spunto per la creazione di uno dei soprannomi più evocativi della storia cestistica bostoniana. E' così che John Havlicek, un ragazzino della Bridgeport High School, Ohio, figlio di Frank, nato in Cecoslovacchia e di Mandy il cui papà era un minatore di carbone jugoslavo, grazie al colpo di genio di Mel Nowell (promettente guardia della Columbus High School e compagno del nostro nella rappresentativa statale) diventa per sempre "Hondo".

Ma veniamo alla storia di questo incredibile campione, capace di fare da collante tra due stagioni leggendarie dei Celtics, a partire dagli anni '60 dei Russell e dei Cousy (e scusate la sommaria esemplificazione) e fino agli anni '70 di Cowens e Jo Jo White. Una carriera stellare iniziata con 2,200 minuti giocati nel 1962 e finita con 2,797 minuti nel 1978, iniziata con 14.2 punti di media e finita con 16.1, mai meno di 71 partite giocate in una singola regular season, 172 incontri di playoffs...e potremmo continuare a lungo, tanto per dimostrare quanto questo signore abbia travalicato la pura eccellenza per 16 anni filati, quando altri celebratissimi fuoriclasse si sono permessi anni sabbatici o pause più o meno lunghe. Una vita in biancoverde, 8 titoli, sempre accompagnato dalla fedele casacca numero 17.

John nasce a Martins Ferry, Ohio, l' 8 aprile del 1940; la guerra è alle porte e quando scoppia in tutta la sua virulenza il paese, che non è che un incrocio stradale con qualche casa, diventa improvvisamente snodo obbligato per il transito di centinaia di camion militari. Gli amici del piccolo hanno tutti la loro biciclettina, ma papà Frank è preoccupato dal traffico sulla Route 40 e rifiuta di acquistargli il velocipede. Ecco che per stare assieme ai compagni di giochi è costretto a correre su e giù per le colline del circondario e sviluppa fin da piccolo l'incredibile tenuta atletica che sarà il suo marchio di fabbrica nell'NBA. Già ai tempi della Bridgeport High School dimostra di essere un predestinato trasformando in oro ogni palla o pallone che gli capita a tiro: basket, baseball o football non fanno differenza, il suo smisurato talento e il suo ancor più smisurato agonismo ne fanno una perfetta macchina sportiva. Lo dimostra ancor di più l'esperienza al college, allorquando, abbandonato il football nonostante le eccellenti doti di quarterback, sceglie il diamente come suo habitat nell'anno da freshman (media battute valide .400, non noccioline), salvo poi ravvedersi per passare definitivamente (o quasi) al mondo della palla a spicchi. In quel periodo, compagni di squadra di Havlicek ai Buckeyes sono nientemeno che il futuro all star Jerry Lucas e Larry Siegfried, altra vecchia conoscenza bostoniana, oltre a Bobby Knight, che passerà alla storia come l'allenatore con più partite vinte in NCAA, a quell'epoca solo una riserva...talento non comune per una squadra che avrebbe vinto a mani basse il titolo nel 1960 e sfiorato il bersaglio grosso anche nei due anni successivi, per un rispettabilissimo totale di 78 vittorie e solo 6 sconfitte. John è la "seconda banana" di Ohio State, sempre all'ombra del grande Jerry Lucas, ma gli occhi attenti dell'Uomo col Sigaro lo hanno già notato, ed il futuro è scontato.

Ed eccoci al draft del 1962, quando alla chiamata numero 7 i Celtics non ci pensano due volte e scelgono Havlicek. Tutto finito? Nemmeno per sogno, perchè si da il caso che anche i Browns del football alla settima tornata, facciano lo stesso nome; il ragazzo, memore dei bei tempi in cui sparava missili da 80 yard, decide di tentare: gioca alcune amichevoli, salvo essere tagliato in extremis. In realtà la franchigia di Cleveland tornerà più volte alla carica per convincerlo a riprovare, ma ormai la strada di "Hondo" è segnata, grazie al cielo diremmo noi, e punta dritta verso la vecchia Boston. La squadra, nell'ultimo lustro, ha dominato la scena in maniera quasi tirannica, cinque campionati vinti in sei anni, ad un Pettit (e un infortunio di Russell) dall'en plein. Tutto rose e fiori, dunque? Non tanto: anche i campioni invecchiano, Cousy sta per iniziare quello che sarà l'ultimo anno da professionista, gli stessi Bill Sharman e Jim Loscoutoff non sono più di primo pelo. Stimatissimi esperti hanno già date per morte le chance di titolo; in questo senso è memorabile la messa da requiem suonata da Sports Illustrated alla vigilia: "I Boston Celtics sono una squadra vecchia, nelle cui vene varicose scorre ormai solo sangue stanco", a sempiterna riprova che il cervello di alcuni giornalisti sportivi è il miglior materiale per trapianti, essendo praticamente chilometri zero. Per la verità quell'anno, nonostante la vittoria ( raggiunta dopo una massacrante semifinale contro Cincinnati (4-3) e una Finale portata a casa per 4-2 ai danni dei Lakers), non sarebbe stato propriamente trionfale per John. Miglior quintetto rookie, un'applicazione feroce agli schemi soprattutto difensivi, ma il suo futuro non appare luminoso come l'odierna leggenda sembrerebbe indicare. La mancanza di un tiro affidabile lo propone come un "mezzo giocatore", e anche Cousy lo sentenzia in un'intervista dell'epoca, quando definisce Havlicek un "non tiratore che presto si sarebbe bruciato", per l'appunto. Mossa per spingere la matricola a lavorare di più? Forse sì, forse no, però lo stratagemma funziona.

Lo stesso Auerbach anni dopo ammetterà che le sue aspettative su "Hondo" non erano altissime: si sarebbe accontentato di un onesto sostituto dell'anziano Frank Ramsey, l'uomo cui il Patriarca aveva cucito addosso il ruolo di "sesto uomo". Grande onestà intellettuale di "Red", cui non sarebbe costato nulla glissare e fare in modo che si aggiungesse un altro "pezzo di mito" alla sua leggendaria capacità di leggere il talento altrui con ere geologiche di anticipo sui colleghi.

E comunque in senso molto lato aveva ragione: fu un sesto uomo...ciò che forse non aveva previsto è che sarebbe stato giudicato dai posteri come "Il Miglior Sesto Uomo di ogni tempo", il più completo all around player (e ci perdoni Magic Johnson), il più prolifico marcatore della storia celtica (ventiseimilatrecentonovantacinque punti), otto titoli vinti, ottomila rimbalzi, seimila assist abbondanti. Già dall'anno successivo, vale a dire nel campionato 1963-64, dopo aver lavorato ossessivamente (Cousy lo sapeva...) per tutta l'estate a limitare le lacune al tiro, si presenta ai blocchi di partenza con tutt'altro piglio. A questo proposito giova ricordare come il numero 17 sia un perfezionista quasi maniacale, in campo come fuori: l'aneddotica è fittissima, dalla fissazione per i vestiti piegati sempre alla stessa maniera fino a quella di riporre le scarpe esattamente nel medesimo posto. Trasferite questi comportamenti in un campo di basket e otterrete un uomo che, semplicemente, non accetta che qualcosa possa non quadrare e lavora giorni, settimane, mesi, se necessario, perchè tutto sia come deve essere. Alla fine risulta il miglior marcatore della squadra in regular season, con 19.9 punti a partita, viene inserito nel secondo quintetto NBA e convince tutti che quella pick numero 7 dell'anno precedente è stata una benedizione. Ah, i Celtics ovviamente portano a casa un altro banner, il settimo.

Ovviamente "Red" non è esente da meriti: nonostante il parziale scetticismo che aveva accolto Havlicek a Beantown, l'allenatore non ci mette molto ad inquadrarlo e a valorizzarlo per farlo rendere al meglio. Come accadde per il binomio Auerbach-Russell, due grandissimi che forse non sarebbero stati leggenda se separati dalla sorte, anche "Hondo" riceve tanto quanto regala alla causa: il suo impiego in tre ruoli, sempre ai massimi livelli, consente una varietà di soluzioni sia offensive che difensive assolutamente fuori del comune: alto 1.97 per 92 chilogrammi, un moto perpetuo straordinariamente rapido, è in grado di mettere la contesa sul piano fisico con le guardie e sulla velocità con le ali, risultando sovente incontenibile e costringendo gli avversari ad aggiustamenti continui e difficoltosi che non fanno altro che regalare spazio alle altre punte di diamante della formazione biancoverde, peralto riuscendo raramente a venire a capo del problema originale, ovvero "Come diavolo lo fermo il 17"? Il suo agonismo oversize ne fa quella "dinamo umana" che può sfiancare il "nemico", i back to back ripetuti diventano uno dei suoi marchi di fabbrica: lo si trova facilmente prima a rimbalzo difensivo, poi a raccogliere l'assist per il layup, poi ancora a raddoppiare in difesa, il tutto in dieci secondi, con la massima lucidità, e decine di volte in una partita. "Stamina" fuori del comune, senza dubbio, e in questo caso diamo per una volta il giusto merito ad una categoria ora spesso bistrattata, quella dei genitori ed al rifiuto di acquistare quella bicicletta che sarebbe stata il necessario laciapassare per una allegra vita sociale da adolescente assieme ai coetanei tra le dolci colline dell' Ohio. Come già sottolineato in precedenza, ncassato il doloroso rifiuto, unica alternativa plausibile per l'epoca era stato correre, correre e ancora correre, fino ad arrivare alle 5 miglia a partita (stimate) che sarebbe riuscito a coprire durante la lunga e gloriosa militanza in NBA...e pensare che al giorno d'oggi alla seconda richiesta avrebbe ricevuto uno scooter; Dio benedica i costumi dei nostri padri e nonni.

Il campionato 1964-65 sembra destinato ad essere una passeggiata di salute, ed effettivamente la regular season dei Celtics è trionfale, con 62 vittorie e solo 18 sconfitte. John ha ormai raggiunto una dimensione definita, magari non è ancora il tiratore velenoso dei tempi maturi, ma la fiducia dei compagni e di Auerbach sono ormai acquisite: pur nel suo ruolo di sesto uomo, sfiora i 30 minuti di utilizzo per 18.3 punti a partita. Gli eroi sono ancora altri, ma sarà lui a lasciare il segno più evidente, in collaborazione con un'altra leggenda: Johnny Most.

La scenografia è quella delle grandi occasioni: gara 7 contro i rivali storici dell'Est, quei Sixers che hanno nell'immenso Wilt Chamberlain la punta di diamante di una squadra che può contare su fuoriclasse del calibro di Hal Greer e Chet Walker, una squadra che senza Boston tra i piedi si sarebbe potuta togliere ben altre soddisfazioni. Ebbene, quei Sixers impegnano allo spasimo i biancoverdi, fino a portarli, appunto, a gara 7. La partita è tirata, ma proprio nel finale i campioni in carica sembrano poterla far propria senza troppi patemi: sette punti di vantaggio quando manca poco più di un minuto sono un bottino assolutamente tranquillizzante, senonchè Chamberlain decide di ribellarsi alla sorte apparentemente avversa e trascina i suoi fino al meno uno; L' aver acceso in anticipo il "sigaro della vittoria", a questo punto sembra non essere stata una buona idea per "Red". 110-109, 5" secondi alla fine, rimessa Phila. I giocatori si piazzano in campo, Russell naturalmente cura Wilt; Hal Greer, palla in mano, cerca un compagno libero: K.C. Jones si piazza a pochi centimeti mulinando le braccia nell'intento di impedire la visuale all' avversario, il quale scorge Chet Walker a 6-7 metri di distanza. L' "arancia" parte nella sua direzione e in quell'istante ad Havlicek scatta quel misterioso interruttore che solo i fuoriclasse posseggono, quello che ti fa decidere in una frazione di secondo la cosa giusta da fare. Scatta in quella direzione, alza le braccia, anticipa Walker e gli soffia la palla. E qui entra in gioco Johnny Most, che regala ai microfoni il celeberrimo: "Greer is putting the ball into play. He gets it out deep...Havlicek steals it. Over to Sam Jones...Havlicek stole the ball...It's all over! Johnny Havlicek stole the ball...It's all over, it's all over", la voce che sale di tono rapidamente fino ad esplodere quando il furto è perpetrato, finchè i primi tifosi si buttano in campo per festeggiare l'ennesima finale ragiunta, finale che sarà ancora una volta vinta, quasi passeggiando, contro i soliti Lakers, con un netto 4-1. Lo stesso "Hondo" racconterà poi che cosa successe in quegli straordinari secondi: "Eravamo sicuri che avrebbero cercato di servire Chamberlain e dovevamo impedirlo; il quintetto che avevamo in campo era molto basso, con me, Sam Jones, K.C. Jones, Satch Sanders e Russell. Bill andò su Wilt, ma rimaneva il secondo lungo, Kerr, da marcare. Pensai di andarci io ma Satch mi disse che se ne sarebbe occupato lui. Quando notai che Greer perdeva qualche secondo, capii che era in difficoltà e istintivamente seppi cosa sarebbe successo e dove sarebbe finita la palla, ovvero a Walker. Rimasi sorpreso per un attimo perché non potevo credere che non avrebbe dato la palla a Chamberlain. Decisi di rischiare, scattai e anticipai Walker, mi gettai davanti a lui e riuscii a deviare la palla con la punta delle dita verso Sam Jones..."

L'anno successivo è l'ultimo di Auerbach-coach e John, pur partendo ancora dalla panchina, raggiunge ancora i 18 punti abbondanti a partita diventando anche, gradualmente, un punto di riferimento importante per il tiro decisivo...ormai dalla distanza è una sicurezza, e lo stesso "Red" conia il termine "Havlicek time", ad indicare gli ultimi istanti di un incontro quando l'ultima azione è destinata a deciderne le sorti.

Quanto sembrano lontane le parole di Cousy che lo avevano accolto al suo arrivo a Beantown. Il 1966 è l'anno della prima convocazione alla partita delle stelle, la prima di tredici consecutive, fino al ritiro. Nel 1967 gioca una regular season magistrale, scavallando per la prima volta i 20 punti di media in carriera (21.4), ma un po' per le difficoltà dovute al cambio di allenatore (il "nuovo che avanza" è Bill Russell), un po' per i Sixers in forma smagliante, ci si ferma in finale di Conference, sconfitti 4-1 dalla Ditta Chamberlain e Co. poi vincitrice del titolo. Lo smacco viene restituito con gli interessi un anno dopo, ancora in finale di Conference, quando, dopo essere stati sotto per 3-1, in una gara 7 da tramandare ai posteri, l'ex "non tiratore" mette a referto 40 punti, contribuendo in maniera fondamentale al 100-96 finale, viatico per l'ennesima finale strappata ai Lakers.

Molti giudicano quel titolo come il possibile "canto del cigno" di un gruppo che oggi è leggenda: K.C. Jones già da dodici mesi guardava gli ex compagni seduto sulle comode poltroncine del Garden e i "grandi vecchi" superstiti della dinastia (Sam Jones e Russell) hanno 71 anni in due. La regular season può solo confermare le fosche previsioni della vigilia, 48 vittorie e 34 sconfitte, peggiore stagione dal 1955-56. Havlicek diventa il baricentro della squadra, e il ruolo gli calza a pennello: gioca tutte le partite, con una media di quasi 39 minuti giocati (sempre da sesto uomo, è bene ricordarlo) e 21.7 punti e in sovrappiù viene selezionato per il miglior quintetto difensivo, appena introdotto. E' la prima volta, non l'ultima: non ne uscirà più, per otto anni consecutivi. Ma è nei playoffs che disegna un altro straordinario capolavoro: 47 minuti ad allacciata di scarpe e 25 punti abbondanti, soprattutto una finale NBA stratosferica. I Celtics giungono inaspettatamente a quell'appuntamento e non c'è un solo addetto ai lavori che si azzardi a pronosticarne la vittoria. Gli avversari sono i Lakers stellari di Chamberlain, West, Baylor. Le prime due gare, nonostante "Hondo" segni 82 punti, si chiudono entrambe con vittoria gialloviola. Sembra finita. Non lo è. Alla terza occasione mette a referto altri 34 punti nonostante un occhio gonfio come un limone per una manata di Keith Erickson e la serie si riapre. Eroismi assortiti di Sam Jones, di Russell, ed incredibilmente si arriva alla settima. John mette anima e corpo in campo coprendo chilometri, raddoppiando, tirando, gettandosi a rimbalzo. Per lunghi tratti è l'unico riferimento offensivo. La partita è vinta, i banners dei Celtics sono 11, 6 nella "era Havlicek", i palloncini di Jack Kent Cooke rimangono ancorati al tetto del Forum di Los Angeles per la più grande delle imprese.

Ma la fine della dinastia, questa volta, arriva inesorabile: Sam Jones e Russell appendono le proverbiali scarpe al chiodo, Heinsohn diventa coach e i miracoli non sono merce che si trova facilmente: John abbandona il ruolo di sesto uomo, e questo priva i tifosi del Garden di quello spettacolo nello spettacolo che era osservarlo in attesa di entrare in campo: tuta slacciata, appoggiata alle spalle, come un centometrista pronto alo scatto, sapendo che nel momento in cui fosse entrato, la partita sarebbe inesorabilmente cambiata. Gioca una stagione di grandissimo livello tecnico, costretto a cantare e portare la croce: alla fine piazza da 24.2 punti, 7.8 rimbalzi e 6.8 assists per ogni ingresso in campo, numeri che disegnano l'identikit della più pura eccellenza. Nonostante questo, il record della Franchigia recita un impietoso 34-48, insufficiente per qualificarsi ai playoff, ed è la prima volta in 20 anni. Nei due campionati successivi guida la lega per minuti giocati (oltre 45, praticamente non esce mai), mettendo a referto, rispettivamente, 28.9 e 27.5 punti di media a partita. Ed è proprio nel 1972 che si ha la chiara percezione che Boston stia tornando a fare la voce grossa: grazie al contributo fondamentale di "Hondo", incluso sia nel miglior quintetto NBA (saranno 4 in tutto le sue apparizioni) che in quello difensivo, i biancoverdi tornano a giocare una semifinale di Conference. E' una sconfitta per 4-1 al cospetto dei Knicks, ma il cuore di Beantown ricomincia a battere.

E i battiti accelerano durante il campionato 1972-73, quando, coadiuvato dal sangue giovane di Dave Cowens, Don Chaney e Jo Jo White, Havlicek guida i suoi a un inimmaginabile, fino a 2 anni prima, record di 68-14. Come accadde per Russell in una vecchia finale persa contro St.Louis, anche in questo caso è un infortunio a tarpare le ali al sogno: dopo una stagione giocata ad altisimo livello, John inizia con il piglio del leader anche i playoff, mettendo a referto 54 punti nella semifinale di conference che vede i Celtics opposti agli Hawks (con ben 24 canestri segnati, record NBA per la postseason) il tabellone propone una sontuosa rivincita contro i Knicks. New York ha una squadra forte, anzi fortissima, con giocatori del calibro di Willis Reed, Walt Frazier, Dave DeBusschere, Earl Monroe e Bill Bradley (e infatti vincerà il titolo...). Rispetto all'anno precedente le chanche di vittoria sono ben più corpose, ma durante gara 3, il 17 si infortuna alla spalla. Costretto a saltare anche gara 4, stringendo i denti rientra quando i biancoverdi boccheggiano sull' 1-3, contribuendo ad accorciare le distanze nella quinta partita grazie ad una prestazione commovente da 18 punti, con il dolore che si fa sentire ad ogni passaggio, ad ogni tiro, ad ogni cambio di direzione. Il triste epilogo è solo rimandato e i biancoverdi alzano bandiera bianca alla settima. Proprio in quell' occasione si dimostra lampante l'affetto e la stima che tutti gli appasionati di basket nutrono per Havlicek. Durante gara 4, quando il pubblico del Madison Square Garden lo scorge in abiti civili, si produce in una lunga e spontanea ovazione...e stiamo parlando di avversari storici.

Nel 1974 "Hondo" continua a martellare le retine avversarie con 22.4 punti a partita in regular season, che si impennano fino a 27.1 nei playoff, in un crescendo che ormai non sorprende più nessuno. Anche Cowens (quasi 16 rimbalzi di media) e Jo Jo White, ormai campione affermato, fanno la loro parte. Questa volta la rituale finale di Conference contro i Knicks è una passeggiata di salute che si chiude sul 4-1, ma la finale sembra assai complessa, con il duo di Milwaukee Jabbar-Robertson (altro all around player di assoluto e meraviglioso livello) ad attendere i Celtics. Si arriva alla quinta sul 2-2 , e gara 6 entra di diritto nella storia del basket, in buona parte per merito di Havlicek, che pareggia sull'86 pari forzando la gara all'overtime, ma non è finita: nel primo supplementare i Bucks si trovano ancora avanti quando mancano pochi secondi alla fine: Chaney ruba palla e serve John, marcato da Kareem, il tiro non è facile e infatti si stampa sul ferro; sembra finita, ma la sua rettivutà è fuori del comune: prende il rimbalzo lungo e la mette dentro per il pareggio che vale il secondo overtime. Anche qui si carica la squadra sulle spalle, segnando 9 punti degli 11 complessivi messi a referto dai suoi. Nonostante tutto un maligno gancio di Jabbar porta la finale allo spareggio. All'ultimo atto non brilla particolarmente in fase offensiva, anche se 16 punti per il "non tiratore" degli inizi sarebbero stati un bottino comunque notevole, ma si impegna in una difesa sovrumana su Robertson, contribuendo in maniera decisiva a "spegnerlo". Il trionfo è netto, 102-87 e i Celtics tornano sul tetto del mondo dopo soli cinque anni dall'addio del grande Russell; molto del merito và ad un commosso "Hondo", nominato MVP delle finals, che dichiara: "This is the greatest one". Nella stagione successiva, 1974-75, scende per la prima volta dal 1966 sotto i 20 punti a partita, ma continua a correre in maniera quasi sovrumana, nonostante i 35 anni suonati, età in cui molti professionisti meditano un dignitoso ritiro.

La squadra si ferma in semifinale contro i Bullets, vittoriosi per 4-2 e poi sconfitti alle finals dai rampanti Warriors. Potrebbe essere la fine, dopotutto sette titoli vinti sono un bel bottino, e Havlicek ha già dimostrato di poter vincere anche senza essere una pedina (per quanto importante) dell' irripetibile dinastia, ma le leggende sono leggende, si sa. E' così che decide, per l'ultima volta, di irrompere nella storia dalla porta principale. Siamo nel 1976, non è più il giocatore che non esce mai dal campo: Cowens, White e Scott lo sopravanzano, anche se stiamo comunque parlando di quasi 35 minuti ad ingresso in campo; pure nei playoff spesso sono altri a godersi la ribalta, ma quando la storia chiama, a rispondere "presente" è ancora Johnny.

Stiamo parlando della "Greatest Game Ever", gara 5 delle "Finals" contro i sorprendenti Suns di John MacLeod reduci da una regular season da 42 vittorie ma micidiali da l' in poi. Hanno eliminato i campioni uscenti di Golden State e si trovano sul 2-2 in finale. "Hondo" ha un piede acciaccato, si allena poco e male ma vuole, deve esserci. I programmi sono di giocare per una ventina di minuti, giusto per tenere sul chi vive gli avversari. Ne gioca 58, con la ciliegina del miracoloso canestro a una mano che porta il risultato sul 110-109 e scatena il pandemonio alla fine del secondo overtime, tra squadre che rientrano negli spogliatoi credendo finita la contesa, tifosi in campo, rientri, timeout fantasma chiamati da Westphal e l'incredibile pareggio sul 111 pari. Dopo tre supplementari è un 128-126 storico che spalanca le porte al 4-2 del "game, set and match", del banner numero 13 per la franchigia del Massachusetts e numero otto per Havlicek. I titoli sono terminati, ma non la voglia di calcare il parquet di questo eterno maratoneta: gioca ancora per due stagioni, mai come una vecchia gloria, sempre correndo avanti e indietro per 36 e 34 minuti, rispettivamente, a partita, per una media punti di 17.7 e 16.1. Ovunque si trovino i Celtics, Est o Ovest, per lui ci sono solo applausi.

Nel 1980 giunge il doveroso inserimento nell All time team dell' NBA in occasione dei 35 anni dell'associazione, riconoscimento rinnovato 15 anni dopo, per i 50 anni. Nel 1983 entra di diritto nella Hall Of Fame. Più di tutto, però, valgano le parole di Red Auerbach, che, parlando del "Suo Hondo", dichiara: "Incarna il bene. Se avessi un figlio come John sarei l'uomo più felice della terra".

Semplicemente, John "Hondo" Havlicek.
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26/04/2019, 14:09
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Messaggio Re: John Havlicek
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26/04/2019, 14:37
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Messaggio Re: John Havlicek
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26/04/2019, 14:52
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Messaggio Re: John Havlicek
pagliardo ha scritto:
Il campionato 1964-65 sembra destinato ad essere una passeggiata di salute, ed effettivamente la regular season dei Celtics è trionfale, con 62 vittorie e solo 18 sconfitte. John ha ormai raggiunto una dimensione definita, magari non è ancora il tiratore velenoso dei tempi maturi, ma la fiducia dei compagni e di Auerbach sono ormai acquisite: pur nel suo ruolo di sesto uomo, sfiora i 30 minuti di utilizzo per 18.3 punti a partita. Gli eroi sono ancora altri, ma sarà lui a lasciare il segno più evidente, in collaborazione con un'altra leggenda: Johnny Most.

La scenografia è quella delle grandi occasioni: gara 7 contro i rivali storici dell'Est, quei Sixers che hanno nell'immenso Wilt Chamberlain la punta di diamante di una squadra che può contare su fuoriclasse del calibro di Hal Greer e Chet Walker, una squadra che senza Boston tra i piedi si sarebbe potuta togliere ben altre soddisfazioni. Ebbene, quei Sixers impegnano allo spasimo i biancoverdi, fino a portarli, appunto, a gara 7. La partita è tirata, ma proprio nel finale i campioni in carica sembrano poterla far propria senza troppi patemi: sette punti di vantaggio quando manca poco più di un minuto sono un bottino assolutamente tranquillizzante, senonchè Chamberlain decide di ribellarsi alla sorte apparentemente avversa e trascina i suoi fino al meno uno; L' aver acceso in anticipo il "sigaro della vittoria", a questo punto sembra non essere stata una buona idea per "Red". 110-109, 5" secondi alla fine, rimessa Phila. I giocatori si piazzano in campo, Russell naturalmente cura Wilt; Hal Greer, palla in mano, cerca un compagno libero: K.C. Jones si piazza a pochi centimeti mulinando le braccia nell'intento di impedire la visuale all' avversario, il quale scorge Chet Walker a 6-7 metri di distanza. L' "arancia" parte nella sua direzione e in quell'istante ad Havlicek scatta quel misterioso interruttore che solo i fuoriclasse posseggono, quello che ti fa decidere in una frazione di secondo la cosa giusta da fare. Scatta in quella direzione, alza le braccia, anticipa Walker e gli soffia la palla. E qui entra in gioco Johnny Most, che regala ai microfoni il celeberrimo: "Greer is putting the ball into play. He gets it out deep...Havlicek steals it. Over to Sam Jones...Havlicek stole the ball...It's all over! Johnny Havlicek stole the ball...It's all over, it's all over", la voce che sale di tono rapidamente fino ad esplodere quando il furto è perpetrato, finchè i primi tifosi si buttano in campo per festeggiare l'ennesima finale ragiunta, finale che sarà ancora una volta vinta, quasi passeggiando, contro i soliti Lakers, con un netto 4-1. Lo stesso "Hondo" racconterà poi che cosa successe in quegli straordinari secondi: "Eravamo sicuri che avrebbero cercato di servire Chamberlain e dovevamo impedirlo; il quintetto che avevamo in campo era molto basso, con me, Sam Jones, K.C. Jones, Satch Sanders e Russell. Bill andò su Wilt, ma rimaneva il secondo lungo, Kerr, da marcare. Pensai di andarci io ma Satch mi disse che se ne sarebbe occupato lui. Quando notai che Greer perdeva qualche secondo, capii che era in difficoltà e istintivamente seppi cosa sarebbe successo e dove sarebbe finita la palla, ovvero a Walker. Rimasi sorpreso per un attimo perché non potevo credere che non avrebbe dato la palla a Chamberlain. Decisi di rischiare, scattai e anticipai Walker, mi gettai davanti a lui e riuscii a deviare la palla con la punta delle dita verso Sam Jones..."


https://www.youtube.com/watch?v=J4fTjcJwImw

RIP :cry:


26/04/2019, 15:03
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Messaggio Re: John Havlicek
Un pezzo del nostra famiglia che se ne va.
Anche se sara' un nome indelebile nel firmamento del basket, quando arriva il momento è sempre triste. ....
Sono pochi dopo aver appeso le scarpe al chiodo, ad essere ricordati per un'azione che rientra nelle poche elette della storia di questo gioco Lui l'ha giocata....
Buon riposo John Havlicek #17.


26/04/2019, 20:57
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Messaggio Re: John Havlicek
c'era qualcosa che questo uomo e atleta straordinario non sapesse fare?
ho guardato un centinaio di volte (volta più, volta meno e lo linko sotto*) il video del suo commiato al Boston Garden, la presentazione di Johnny Most, le parole commosse di Red Auerbach, il sorriso sereno di Hondo e le sue parole, con la moglie e con i figlioletti biondissimi che lo guardano, con ammirazione, con naturalissima infantile inconsapevolezza.
Difensore, attaccante, dominatore emotivo e tecnico del gioco con la semplicità e la linearità dei giganti.
Uno dei più grandi di ogni tempo. Una leggenda che ha fatto la nostra Storia.
Per cui è un dolore cocente forte il saperlo adesso altrove.

Alla sua ultima partita di Basket al Boston Garden, il popolo bianco verde gli tributò oltre sette minuti di standing ovation, rovesciando sul parquet incrociato tutta la devozione, la riconoscenza, l'amore, i sentimenti che solo pochissimi altri nostri atleti potranno vantare così vasti, così inestimabili.

... con ancora più commozione, adesso, io continuo, e continuerò, ad applaudirlo:

addio mitico John Joseph Havliceck detto Hondo

*
https://www.youtube.com/watch?v=bbyZCmuK8K8

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"se un uomo che non sa contare trova un quadrifoglio, ha diritto alla fortuna?" Stanislaw Lec (Pensieri spettinati)


26/04/2019, 23:21
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Messaggio Re: John Havlicek
Intero paginone della Gazzetta dedicato ad Hondo clap2


27/04/2019, 17:57
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