Colgo l'occasione dell'articolo che linko qui sotto, per "parlare" di uno dei personaggi più nominati su questo forum nell'ultima settimana
sportivamente parlando se ne può dire di tutto, soprattutto per l'abbigliamento clochard che ha durante le partite degli zimbelli... però, ammetto che è animato da una vera fede sportiva, non certo per moda o perchè ora i Knicks sono cool (o tentano di diventarlo
). In ambito cinematografico, per quanto mi riguarda, non si discute: ha fatto dei film semplicemente grandiosi
“He got game”, meraviglia cinematografica di Spike Lee che trasuda basket da ogni fotogramma!
L’appuntamento di questa settimana con la rubrica “Film e Libri NBA” per la prima volta è dedicato ad un capolavoro del repertorio cinematografico riguardante la palla a spicchi. “He got game”, pellicola del 1998, vede come protagonista Denzel Washington nelle vesti di Jake Shuttlesworth, finito in carcere per aver involontariamente ucciso la moglie, madre dei suoi 2 figli, Jesus (Ray Allen) e la piccola Maria. Il primogenito maschio è una promessa del basket liceale, conquista le copertine dei giornali ed è prossimo a fare quella che tutti gli ripetono essere “la scelta più importante della sua vita”, cioè decidere se rendersi eleggibile al draft oppure scegliere uno dei tanti college che gli hanno offerto una borsa di studio.
Il film è tutto concentrato nella settimana precedente la scelta, in cui viene concessa la libertà vigilata a Jake affinché riesca a convincere il figlio a scegliere Big State, il college tanto caro al governatore dello stato di New York che in cambio di questo “favore” potrebbe diventare molto clemente nei riguardi del detenuto, riducendogli considerevolmente la pena. Non sarà facile per Denzel Washington convincere il figlio, nel frattempo distratto dalle pressioni della sua ragazza, dello zio adottivo, del suo coach e dei vari college che bussano di continuo alla sua porta.
E’ un film vero, che mostra quanto un business importante come quello dell’NCAA prima e dell’NBA poi possa sconvolgere la vita di un ragazzo qualunque, che vive a Coney Island e che deve provvedere al mantenimento suo e della sua sorella minore, anch’essa forviata dalle voci che le prospettano un futuro pieno di benessere e ricchezza. Tutte le persone a lui più care cercano di avere un tornaconto personale dalla situazione, cercando di instradarlo verso questa o quell’altra direzione.
La piacevolezza della storia, unita anche alla drammaticità di alcuni suoi aspetti, è accompagnata in sottofondo dalle immagini del playground newyorchese, che a mio avviso è il vero protagonista del film. I campetti da basket, tra cui il famoso “Chop Chop Land”, non perdono mai occasione di spuntare sul teleschermo ed anche la stessa risoluzione del film si decide in un uno contro uno padre/figlio giocato al meglio degli undici canestri.
Inoltre lo stesso titolo della pellicola, “He got game”, ne è l’ennesima riprova. Non se ne può fare una traduzione “diretta”, è tipico dello slang del mondo del basket e sta ad indicare uno che ha talento. Una sorta di investitura, “il ragazzo possiede il gioco”, lo padroneggia, in un certo senso lo domina. E’ un concetto tipico del playground della Grande Mela, soprattutto delle parti di Brooklyn e dintorni (Stephon Marbury sarebbe stato il protagonista perfetto del film, essendo la sua storia personale parallela a quella del protagonista del lungometraggio).
E poi un altro aneddoto, a mio avviso emblema di quanto conti la palla a spicchi nel film. Chiunque senta dei genitori chiamare i propri figli Gesù e Maria presuppone una grande vicinanza al cattolicesimo da parte degli stessi. E’ quello che pensa anche Jesus, il coprotagonista del film, eternamente preso in giro per essere stato chiamato come il figlio di Dio. Ma in uno dei dialoghi tra padre e figlio vien fuori la verità. Il “Gesù” a cui si fa riferimento è Black Jesus (titolo anche di un libro di Buffa, uno dei prossimi che sarà recensito in questa sezione), cioè Earl Monroe, stella dei Knicks anni ’70 e vero “Dio” osannato da Jake.
Potrei continuare all’infinito a parlarvi di quanto basket esca da questa pellicola, ma preferisco preservare la piacevolezza delle 2 ore di sorpresa per i pochi che ancora non hanno avuto il piacere di vedere il film.
In conclusione, per gli amanti dell’NBA, degli States in genere e del mondo che ruota attorno al basket è un must, per chi è un po’ meno patito è anche un bel film drammatico. Assolutamente consigliato!
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