Sin dalla più tenera età ci viene insegnato che "non si giudica un libro dalla copertina".
In effetti, per raccontare la storia di Tommy Heinsohn, al secolo Thomas William Heinshon, non c’è approccio migliore del sopracitato adagio.
I Boston Celtics più che un libro sono un’enciclopedia del basket e sulla copertina di tale enciclopedia necessariamente ci devono essere Mr. 11 anelli, Bill Russell, ed il patriarca del Celtics Pride, avvolto nella sua nube di fumo, Red Auerbach.
Quello che forse sfugge ai più è che Tommy Heinsohn è però ogni singola pagina di quell’enciclopedia.
Non abbiamo ancora conosciuto un solo anno di quella mistica e di quella narrativa senza il contributo in qualche misura del grande Tommy e delle sue innumerevoli vite parallele, tutte indissolubilmente intrecciate ai Boston Celtics.
Dal 1957 ad oggi il binomio Tommy Heinsohn e Celtic green si è ripresentato fedele, ostinato, orgoglioso e perenne per ogni stagione sia che si trattasse di Tommy giocatore, allenatore o cronista.
E per questo, andiamo con ordine nel ripercorrere alcuni tratti salienti di questo matrimonio, non esattamente ordinario, durato oltre 60 anni.
Per farlo, però, occorre leggere tra le pieghe del discorso o se preferite non sfogliare distrattamente le pagine della sopracitata enciclopedia, ma fermarsi ad apprezzare le implicazioni storiche e cestistiche.
Siamo nel 1957 e Tommy viene scelto dai Celtics, provenendo da Holy Cross. Nell’ateneo del Massachusetts eredita la leadership non casualmente da un certo Bob Cousy e consolida il suo status nel ruolo di centro con i suoi poco più di 2 metri di altezza.
Quest’ultimo non è un dettaglio da poco, perché nel giro di qualche mese si trova proiettato nel professionismo in posizione di ala perché il ruolo di centro è coperto da quel signore degli 11 anelli di cui sopra, in arrivo da San Francisco, Mr. Bill Russell.
Nelle pieghe della storia scopriamo che il nostro Tommy non si scompone di una virgola, impara il ruolo di ala, sviluppa un gioco fronte a canestro e nel 1957 da rookie consegue queste due “piccole” meraviglie.
In primis, titolo di rookie of the year davanti a nient’altro che Bill Russell ed in secundis il capolavoro dei capolavori: una gara 7 di Finali da 37 punti e 23 rimbalzi.
Il bello di questi due risultati è che sono documentabili e hanno dei numeri e delle date; c’è però un lascito che è più esteso nel tempo e nello spazio che non trova traccia nei libri e nelle statistiche.
Il primo lascito è la formulazione e perfezionamento del suo marchio di fabbrica il "running hook", ossia il gancio in corsa, preferibilmente se eseguito da fondo campo. Di questi tempi, già il semi-gancio è una mezza rarità. Immaginate il quoziente di difficoltà di un gancio in corsa da fondo campo.
Se volete trovare una testimonianza storica del legame indissolubile tra Tommy ed il running hook, andate su YouTube a vedere la cerimonia di chiusura del glorioso Boston Garden nel momento in cui le leggende dei Celtics si passano la palla tra di loro fino al comodo layup di Larry Bird. Nel momento in cui Tommy riceve palla, finta la sua mossa preferita, salvo poi passare. Piccola nota di colore: si trova ad almeno 5 metri dal canestro.
Il secondo lascito serve da ponte ipotetico tra la sua prima vita e la sua seconda vita.
Tommy lascia il basket giocato a soli 30 anni, causa infortunio alla caviglia ed inconsapevolmente ha già con sé tutto il bagaglio nozionale necessario per affrontare la sua seconda vita da Celtic: la carriera da allenatore.
Proseguendo nella lettura dell’enciclopedia verde si può scoprire come, di fatto, coach Heinsohn sia uno degli ideatori dello small ball, basatosi su un centro di non oltre 2 metri e 6 centimetri, al secolo Dave Cowens.
Voi direte: beh, qualcosa avranno concesso sui tabelloni. E qui vi sbagliate perché nelle due stagioni dove condusse i nostri al titolo, i Celtics furono primi nella lega per numero di rimbalzi catturati.
Aldilà dello stile di gioco, coach Heinsohn ereditò culturalmente lo stile di leadership caratteristico di Auerbach. La filosofia è piuttosto semplice, ma per nulla scontata in termini di esecuzione e recita più o meno così: “come coach devo poter mettere i miei giocatori nella condizione per poter essere la versione migliore di loro stessi. Ad alcuni insegnerò aspetti del gioco, ad altri come essere uno in mezzo ad altri 4 in campo.”
Con 10 titoli in tasca ed un posto già assegnato nell’olimpo dello sport bostoniano, la relazione d’amore tra Tommy ed i Celtics potrebbe interrompersi qua, mentre invece sta solo per iniziare il terzo atto della saga, quello più rilevante per chi ha meno di 40 anni.
Nel 1981 inizia la straordinaria partnership con Mike Gorman e, in un contesto sportivo dove anche il giornalismo sportivo è fatto di leggende (Bob Ryan, Charlie Pierce, Jackie McMullan e ovviamente il più senior Johnny Most), Tommy Heinsohn aggiunge un altro lungo capitolo al suo legame con i Celtics.
In 39 anni di partite gomito a gomito Mike & Tommy hanno raccontato l’epopea anni 80 fatta da Bird, McHale e Parish, i lutti legati a Len Bias e Reggie Lewis, i difficili anni 90, la nascita della stella di Paul Pierce culminata nel titolo del 2008 e la nuova rinascita sotto la guida di coach Stevens.
Il tratto di Mike & Tommy è sempre stato riconoscibile dal primo giorno e ammesso più volte da entrambi:” siamo due tifosi dei Celtics che vogliono che la propria squadra vinca”.
A proposito di stile inconfondibile, Mike Gorman ha raccontato più volte negli anni un aneddoto che coglie tutta l’essenza dell’approccio che il duo ha modellato nel corso degli anni, facendolo diventare un marchio di fabbrica (anche durante le ultime ECF Mike Breen, Jeff Van Gundy e Mark Jackson hanno parlato di Mike & Tommy durante una loro telecronaca).
Alla prima partita di RS del duo, Gorman si presenta alla postazione del vecchio Garden, situata sulla prima balconata, con un mucchio di appunti e statistiche sui Celtics e l’avversario. Heinsohn guarda interrogativo il suo partner, appallottola gli appunti e li lancia giù nelle prime file a ridosso del parquet lasciando Gorman esterrefatto.
Tommy guarda negli occhi Gorman e gli dice: "questa sera racconteremo quello che sta accadendo sul parquet e null’altro. "
Da questo avviso, quasi intimidatorio, si è innescata una formula, quasi un rituale paragonabile ad una liturgia. Ogni sera, per 39 anni, Mike & Tommy hanno fatto tabula rasa di tutto ciò che avremmo dovuto sapere o come la singola partita si inseriva nel filotto delle ultime, perché ogni sera si sarebbe cominciato da zero con la legittima ambizione che i Celtics avrebbero potuto vincere contro tutto e tutti.
Avrei voluto vedere questo indissolubile rituale per decenni, ma l’età ha preso il sopravvento sul nostro eroe che è vissuto tre volte sempre guidato da una sola incrollabile certezza: i Boston Celtics la prossima partita la vinceranno.
Mi fermo qua, ma non per pochezza di storie. Potrei parlarvi delle altre mille vite di Tommy (l’assicuratore, il sindacalista creatore dell’associazione giocatori, il pittore, l’appassionato di storia, il mentore di tutti gli ultimi allenatori Celtics e tanto altro ancora) ma spero di avervi trasferito la voglia di cercare aneddoti e storie su colui che è tutte le pagine di questa sensazionale cavalcata, partita nel 1957 e che è destinata a continuare con un angelo custode in più.
Peraltro, come la vedete la triade Hondo, Tommy e Red a tifare Celtics aleggiando sopra uno dei canestri del Garden?
Buon viaggio Tommy e grazie di tutto.
p.s. ebbene sì, ho scritto un ricordo di Tommy senza menzionare la parola “arbitri”. Quel binomio è conosciuto solo a chi non tifa Celtics.